La vita è un grande palcoscenico, nel quale ognuno di noi è invitato, prima o poi, a recitare una parte. Che tu voglia o non voglia, tocca a te. Te ne accorgi quando cala il silenzio e le luci del teatro si spengono: devi farti coraggio, salire sul palco e guardare in faccia la verità. Al buio. In quel preciso istante vieni illuminato da un faro, che d’obbligo ti pone al centro della scena. A questo punto sta a te scegliere. Essere e recitare la parte come primo attore protagonista, oppure nasconderti nell’ombra tra le comparse, senz’arte né parte. Ma puoi anche decidere di non salirci proprio su quel palco, fingendo che quella parte non ti tocca. Qualsiasi scelta tu faccia, sarà giudicata con severità e senza sconti da un pubblico che gode delle disgrazie altrui, abituato a osservare la vita dal buco della serratura. Sempre pronto a carpire una tua espressione, una titubanza, un fremito, una frase infelice o un’intenzione per crocifiggerti, tra fischi, insulti e lanci di pomodori e cipolle. Non importa chi tu sia, ricco o povero, potente o ininfluente, coraggioso o vile, generoso o avaro, fedele o infedele, sincero o bugiardo, invidioso o altruista. Osserveranno come reciti il copione a pappagallo, a menadito. Tanto è scontato, è sempre quello. L’essere, quello universale, omologato dalla società ormai da millenni. O il non essere, composto dalla creatività, dall’intuizione, dal saper recitare a braccio una parte che non ti aspettavi, che non ti appartiene. Comunque vada, dietro le quinte del teatro della vita, dovrai fare i conti con te stesso. Storie difficili, ma non impossibili, che spesso sfociano in tragedie, diventando vere e proprie commedie drammatiche. I motivi? Sempre quelli: amore, potere, invidia, denaro, tradimento, amicizia, gelosia, ambizione, rivalità e donne.
È la storia primordiale dell’uomo. Succede di avere saltuariamente tra le mura di casa l’«amicone», ma sì, quello simpaticone, ignorantotto, una delle tante comparse che per anni hai frequentato e che infidamente ti sottrae la tua donna, rubando e distruggendo la vera ricchezza della tua vita: la famiglia. L’essere ti porta a entrare subito nella parte e nel ruolo prestabilito dal copione. Primo attore e prima scena, varie scelte di interpretazione: a) dopo pochi giorni, denunciato ai carabinieri per stalking; b) dopo un mese, denunciato ancora ai carabinieri per ingiurie e percosse; c) a questo punto sconvolto e disperato tenti il suicido; d) con gli occhi iniettati di sangue lo ammazzi; e) uccidi la fedifraga e l’«amicone»; f) meglio ancora, ammazzi entrambi e per lavare l’onta uccidi anche i figli, poi, già che ci sei, ti togli la vita. Tutto secondo copione. Una tragedia perfetta. Scritta e concepita nei secoli. Grande successo, l’essere è garantito. Certamente avresti l’apertura del telegiornale, paginate sui quotidiani. Conteso per intervista dalla Paola Perego o dalla Barbara D’Urso di turno. Il massimo, poi, sarebbe l’invito di Bruno Vespa a Porta a Porta e un plastico su misura. Creato e costruito per raccontare la tragedia. Ma esiste anche il non essere. Fatto di lucidità, con la consapevolezza che lui, l’amico, è solo una comparsa e che la prima attrice è solo Lei, la fedifraga. Che cosa fare? Una grande festa, invitando tutti: i primi attori, le comparse più vicine e lontane, i familiari e gli amici di tutti. Una cena indimenticabile, con un famoso chef, che so, Davide Oldani, con del buon vino da bere, tipo Conte della Vipera. Poi, dopo il dolce, Krug Clos du Mesnil a fiumi per brindare, quindi salire con un balzo felino sul palco, aspettare il silenzio, i fari puntati e recitare, sorprendendo tutti: «Un brindisi all’amicizia, al grande amico che mi ha liberato di un grande peso. Grazie a lui, ora posso vivere sereno, progredire e inseguire i miei sogni, senza avere un paracarro sui… piedi. Senza di lui, mai mi sarei accorto. Cin-cin, salute! Tanti auguri alla nuova coppia!». Non ci sarebbe alcun ritorno dell’essere. Solo applausi e qualche fischio. Il sipario calerebbe, in silenzio.
Siamo noi che abbiamo l’arbitrio di far diventare le quotidiane situazioni della vita tragedie o commedie. Lo aveva capito, e molto bene, William Shakespeare, il Bardo conosciuto anche come lo Swan dell’Avon. Da oltre quattro secoli, il più grande drammaturgo vive dentro di noi. Ci ha spiegato e insegnato com’è fatto l’essere umano, di cui ha riassunto le caratteristiche essenziali in più di cento protagonisti, specchi in cui guardarsi e riconoscerci. In sostanza, siamo riflessi delle sue invenzioni. I suoi personaggi non sono figure storiche reali, ma nemmeno creature inventate o immaginate. I suoi personaggi, siamo noi. È questa la grandezza di Shakespeare. Di lui non sappiamo quasi niente, mentre lui sa tutto del nostro io più intimo e profondo. Da secoli è accanto a noi con opere, storie, intrighi affascinanti e drammatici della vita di tutti i giorni. Che hanno catturato e sedotto l’interesse di nobili della cultura italiana come Ugo Foscolo e Alessandro Manzoni, o di un maestro della musica come Giuseppe Verdi che ha contribuito a far conoscere il filosofo e drammaturgo in Italia e nel mondo con le sue versioni in musica di Macbeth, dell’Otello e del Falstaff. Opere spesso ambientate in Italia, a Verona, Venezia piuttosto che a Milano, luoghi descritti con dovizia di particolari anche se il Bardo non era mai stato in Italia. Non passa giorno che in Italia e nel mondo non si legga una riga di Shakespeare. Re dei supermercati contestato dai figli per l’eredità: Re Lear. In un raptus di follia il giovane principe uccide zio e madre: Amleto. Extracomunitario, di colore, strangola moglie, bianca, italiana per gelosia: Otello. Triangolo amoroso, noto dongiovanni beffato da tre donne: Le allegre comari di Windsor. E lui, è Falstaff. Non sono titoli di cronaca, è la storia della vita che si ripete, anno dopo anno, secolo dopo secolo. Tragedie? No, la vera tragedia, siamo noi!
Editoriale di Franz Botré da “Monsieur” n. 133 (aprile 2014)