LA STORIA SIAMO NOI

Attraverso le sue pagine,
dagli anni 30 Arbiter ha formato
la cultura dell’eleganza e accompagnato la nascente industria della moda italiana. Fissando
valori e codici che ancora segnano
la contemporaneità

«Perciò abbiamo creato «Arbiter». non per salire in cattedra, non per aggiungere chiacchiere alle troppe già pronunciate, né per mostrare risolto il difficile problema della moda italiana. Soltanto perché per camminare occorre una strada, e in queste cose la strada non può essere che della carta stampata, anzi della carta da stampare». Ieri come oggi, nulla di più attuale nelle parole scritte su un numero di Arbiter del 1936, «rivista di vita maschile» nata nel 1935 sotto la direzione di Gino Magnani e Mario Soresina, ed edita da S.A. L’Editrice Milano. Uno strumento di comunicazione, un contenitore di valori e di principi, per sostenere e far crescere la moda e lo stile italiano. è la rivista per l’uomo nuovo, la parola dei (e ai) sarti, artigiani del fatto in Italia. Tutto ruota intorno al mondo dell’abbigliamento, servizi, fotografie, figurini, disegni. Consigli su abiti, accessori, tessuti, colori e abbinamenti. Spaccati di una virile quotidianità. Testimoni di un tempo che cambia e che passa anche attraverso una guerra. Un’avventura editoriale unica, evoluzione del costume e del modo di raccontarlo, dove la pubblicità, interpretata con arte, è sempre più importante tra le pagine. Negli anni 50 aumenta la presenza dei marchi stranieri, cambia l’atteggiamento del giornale che diventa meno pedagogico, ma più divulgativo e informativo. Nel 1952, Michelangelo Testa, il nuovo direttore ed editore, inaugura la prima edizione del Festival della moda maschile portando in passerella nel casinò di Sanremo le creazioni dei sarti. La rivista si conferma strumento di divulgazione del fatto in Italia, una vetrina della moda maschile italiana a livello internazionale. Testa organizza concorsi, congressi, mostre, serate tutte sotto il patrocinio e con il contributo di Arbiter. Gli anni che seguono, sono contraddistinti da una diminuzione dei lettori, la concorrenza straniera è sempre più presente. Arrivano gli anni del prêt-à-porter, dei grandi nomi della moda, degli stilisti e dei marchi importanti; l’ampliarsi dei nuovi mercati, i grandi magazzini: i sarti suscitano sempre meno interesse e Arbiter è fuori dai giochi. Non serviranno il passaggio in Rusconi e un tentativo di rilancio a risollevare le sorti della rivista. Nel 1984 la sua pubblicazione termina. Ecco le testimonianze di chi, in vari modi, prese parte a quella straordinaria esperienza.

 

CARLO PERELLIDa oltre 60 anni scrive di moto ed è direttore di Motociclismo d’Epoca: che cosa c’entra Carlo Perelli con il mondo dell’abbigliamento maschile, con i figurini, i tessuti, gli abiti su misura e le lezioni sartoriali di Arbiter? «Gino Magnani era mio zio». Una storia di motori ed eleganza, che porta Magnani, classe 1882, dalle piste alle sartorie, in una gimcana di professionalità, propria solo dei grandi direttori. La passione per le moto è tale che Magnani, nonostante le scarse disponibilità economiche, fonda la rivista Motociclismo e ne assume la direzione: il 26 aprile 1914 esce il primo numero. Nel 1935 arriva Arbiter, al fianco di Magnani c’è Mario Soresina. «Lui sposò una mia zia in seconde nozze, per cui l’ho conosciuto solo in tarda età. La mia passione erano le moto e la fotografia, così nel ’49 sono entrato a Motociclismo». Il vero motore che spingeva Magnani era l’amore per il suo lavoro: «Faceva il direttore più che l’editore, nel senso che si lasciava trasportare dal cuore e badava meno a fare gli interessi economici dell’Editrice», continua Perelli. «Immagino che sarà stato così anche a capo di Arbiter, di cui avevo qualche racconto; ricordo di essere stato nello studio di Soresina». Ma com’è che Magnani, appassionato di motori, a un certo punta fonda un giornale di moda maschile? «Posso immaginare che mio zio, semplicemente, pensò alla moda e decise di fondare Arbiter. Gino Magnani si lasciava guidare dalle passioni».

 

SILVANA FRIGO – «Una bottega rinascimentale, è così che ricordo Arbiter», racconta Silvana Frigo, braccio destro di Michelangelo Testa, custode dei segreti della testata. «Tutto ruotava intorno al bello, cui si prestava molta attenzione. Veniva data molta importanza all’arte, ma anche alla satira e si ironizzava su ciò che accadeva nella vita. Per esempio, gli illustratori prendevano ogni mese una persona come soggetto e la raffiguravano mettendone in evidenza i suoi tic. Paolo Garretto era uno dei migliori. Ogni giorno era un piacere andare in redazione, con un capo come Michelangelo Testa, un vero gentiluomo. Era carismatico e accentratore, un persona libera e indipendente, sapeva farci sentire tutti importanti protagonisti del giornale». Arbiter sapeva essere molto contemporaneo: «C’era attenzione per gli intellettuali e i pittori emergenti, venivano valorizzati i talenti», i futuri protagonisti d’Italia. «In redazione si ripeteva sempre l’aforisma di Oscar Wilde: “Ho dei gusti semplicissimi mi accontento sempre del meglio”». Tutto ruotava intorno alla cultura, alla conoscenza: «Il giornale si rivolgeva a un uomo dai gusti semplici ma tanto raffinati, perché l’eleganza non era mai appariscente, ma dipendeva dalla personalità e dalla testa della persona. Oggi mi piacerebbe che il nuovo Arbiter valorizzasse ancora le eccellenze d’Italia, l’artigianato, il talento di chi ha voglia di fare, di chi produce bellezza».

 

ALBERTO RUSCONI – «Il ritorno di Arbiter? Una scelta coraggiosa. Non nascondo che a me spaventerebbe», dice Alberto Rusconi. Ma quando mette da parte il suo essere editore, ecco che i ricordi legati ad Arbiter si concedono alle emozioni del suo passato glorioso, legato al mondo dell’abbigliamento maschile. Quel mondo di cui la rivista era portavoce e che sotto l’egida della casa editrice Rusconi ha vissuto gli ultimi suoi anni, quando la sartoria, schiacciata ormai dai grandi nomi della moda, ha dovuto cedere il passo: «E anche il giornale è andato verso una naturale chiusura». «Prima che la nostra Casa Editrice prendesse Arbiter agli inizi degli anni 80», continua Rusconi, «la rivista era supportata economicamente dai sarti e dagli stilisti. Quando è venuto a mancare il loro aiuto, abbiamo deciso di salvarla perché era una testata storica e in più i sarti ci chiesero di continuare a farla uscire. Non facevamo grandi numeri, né profitti o perdite, però continuavamo a far vivere i valori del mondo dell’abbigliamento maschile, a dar voce ai suoi protagonisti. La cosa curiosa che ricordo è che vendeva sempre lo stesso numero di copie: contavamo su una nicchia di lettori fedelissimi, il che rappresentava un grande vantaggio perché non avevamo resi». Fedele al passato e a se stessa, così era Arbiter: «Si presentava più che altro come una rivista di settore; noi lasciammo esattamente la stessa struttura. Anche la redazione era molto snella, gli argomenti erano quelli, l’abbigliamento maschile».

 

SILVANA GIACOBINI – «Lo ricordo per la sua eleganza», dice Silvana Giacobini. «Allora ero direttore di Gioia e direttore editoriale delle testate femminili di Rusconi». Un occhio esperto sulla moda, che spazia a 360 gradi, dalla donna all’uomo. «Arbiter era sinonimo di buon gusto, di raffinatezza, raccontava l’arte del saper scegliere. Un’eleganza mai ostentata e che non era soltanto esteriore, ma dell’anima e dei gesti». Filo conduttore delle pagine di Arbiter sono sempre state le grandi firme del giornalismo e dell’arte, un patrimonio da difendere e di cui far tesoro. «Se non ricordo male c’era Alberto Orefice». Arbiter era un grande giornale, per uomini raffinati e di buon gusto.

 

LUCIANO BARBERA – Tra i protagonisti, tra coloro che hanno contribuito a scrivere capitoli importanti della sua storia c’è Luciano Barbera. Che con il lanificio di famiglia (oggi di proprietà della Kiton) ha fornito argomenti preziosi per il giornale, e viceversa, da Arbiter ha ricevuto anche molto. «Era un continuo scambio culturale profondo», ricorda Luciano Barbera. «Alla direzione c’era il grande Michelangelo Testa, e poi come dimenticare la mano di Tarquini. Lui era un pittore, ma anche un eccezionale figurinista e i suoi disegni comparivano sulle pagine del giornale. Veniva in stabilimento a Pianezze e dai nostri tessuti traeva spunti interessanti per le sue raffigurazioni. Studiava i particolari, i disegni e i colori, per poi riportare tutto su carta. Con il suo permesso, noi utilizzavamo poi i suoi disegni più belli per presentare le collezioni ai nostri clienti». Arbiter, dunque, è stato anche uno strumento per cercare di guidare l’uomo al vestire bene, alle scelte che determinano lo stile: «Gli incontri con Tarquini e Testa non erano finalizzati a promuovere un marchio, ma costituivano un servizio per le sartorie e per i lettori, un modo per dare consigli su come abbinare tessuti, colori, camicie, cravatte e pochette. Una fucina di idee, per dare un senso all’abbigliamento senza creare distonie. I dettagli sono importanti, perché è in essi che si cela il buon gusto maschile». Uno stimolo reciproco, teso alla continua ricerca del bello, a valorizzare il gusto del vestire bene di ogni uomo. A raccontare i particolari che fanno la differenza e raccontano la vera eleganza. Quella che Michelangelo Testa, nel 1952, porta in passerella a Sanremo. «Testa ha saputo essere un grande condottiero e con il Festival della moda maschile ha fatto sfilare le creazioni dei sarti più bravi provenienti da tutta Italia. Fu un grande successo», racconta Barbera. «Arbiter conosceva le sartorie e capiva che al tessuto mancava un diretto contatto con il pubblico. Il giornale ha svolto un grande lavoro di valorizzazione del distretto biellese del tessile. Erano anni in cui l’80% dell’abbigliamento maschile passava dal sarto, c’era bisogno di far conoscere anche chi forniva le materie prime. In quel periodo i tessuti avevano subito anche un grande cambiamento, i pesi si erano molto alleggeriti, l’uomo viaggiava e gli uffici erano riscaldati, era necessario comunicare le novità, farle conoscere agli uomini». E a proposito del ritorno di Arbiter? «Sono felice che possa ridare finalmente un respiro internazionale a questo mondo. Credo che sia un progetto molto interessante, soprattutto se si pensa anche all’esportazione del gusto italiano. Perché è attraverso le esportazioni che possiamo dare fiato alla manodopera del nostro Paese». È così che l’Italia può tornare a crescere.

 

Di Valentina Ceriani

Da Arbiter 146/1 – aprile 2015