Gianni Agnelli è stato un uomo chiave nello sviluppo industriale dell’Italia post-bellica.
Torino, la Juventus, la erre moscia, il rolex sopra il polsino della camicia, le scarpe scamosciate, la nomina di “avvocato”, la passione per lo sciare, il quotidiano La Stampa, e, soprattutto, la Fiat. Chi vi viene in mente? L’Avvocato, appunto. L’imprenditore Gianni Agnelli, scomparso proprio il 24 gennaio dieci anni fa. Un uomo che fece la storia del nostro Paese e portò il nome della fabbrica torinese oltreoceano.
Era nato nel 1921, orfano di padre dall’età di 14 anni e discendente di una delle più importanti famiglie del suo paese: già suo nonno, infatti, fu uno dei fondatori della Fiat (Fabbrica Italiana Automobili Torino). Sin da giovane, le responsabilità della famiglia gli fecero capire che un giorno tutto quel peso sarebbe stato suo; eppure riesce a studiare (nel 1943 si laurea in giurisprudenza) e, prima ancora, a partire con il primo reggimento Nizza Cavalleria, con la carica di sottotenente, per combattere prima sul fronte russo e poi sul fronte africano. Nel 1945 diviene ufficialmente orfano poiché perde la madre in un incidente automobilistico, e il nonno Giovanni, figura paterna per tanto tempo. La morte di Giovanni però non è ancora l’inizio di un lungo e responsabile cammino. La presidenza dell’industria automobilistica passa nelle mani dell’esperto manager Vittorio Valletta: passaggio voluto da Gianni poiché il vecchio nonno gli consigliò saggiamente di prendersi degli anni di libertà prima di occuparsi dell’azienda. Sono anni spensierati e preziosi per il giovane Gianni. Nel 1947 diventa presidente della Juventus, squadra amata prima dal padre e poi da lui per tutta una vita. In quegli anni gira anche per l’Europa e frequenta gli ambienti e i personaggi più prestigiosi. Nel 1953 sposa Marella Caracciolo di Castagneto, principessa di nobili origini napoletane.
Nel 1966 Gianni riprende il testimone lasciato a Valletta e diviene uno degli uomini più potenti ed influenti d’Italia. La Fiat, infatti, durante gli anni della “reggenza Valletta”, era riuscita ad ottenere delle basi talmente solide, da fare di Torino una delle più ambite mete d’immigrazione dei lavoratori provenienti dal Mezzogiorno italiano. L’avvento, poi, del “boom economico” di quegli anni concede agli italiani di favorire di acquistare prodotti allora in voga, come la Lambretta e la Seicento, favorendo così l’azienda torinese. Agnelli, però, prende il timone dell’industria in un periodo nero per il capitalismo. Sono gli anni delle contestazioni studentesche e delle lotte operaie: i giovani, stanchi di un diritto allo studio che non soddisfaceva tutti, uniscono le loro proteste a quelle degli operai, i quali, a seguito della scadenza del contratto di lavoro triennale, si mobilitano per le rivendicazioni salariali. Ovviamente, nella più importante industria italiana dell’epoca le cose non si svolgono diversamente.
Da ricordare gli avvenimenti del ’69, dove i carrellisti dello stabilimento presse dello stabilimento di Mirafiori danno inizio a scioperi improvvisi, fuori dalle direttive del sindacato. Il loro sciopero è mortale per l’azienda, poiché questi hanno il compito di trasportare le parti delle carrozzerie appena stampate dalle presse alla catena di montaggio: fermi loro, tutta la produzione è bloccata. Inizia così quello che verrà poi chiamato “autunno caldo”: per giorni e giorni, in maniera alternata e ben organizzata, i vari stabilimenti si bloccano e gli operai formano lunghe file di gente, chiamati “serpentoni”, invitando gli altri colleghi a fermarsi ed unirsi a loro.
“Agnelli style”, lo stile e la classe antica di un uomo indimenticabile
Il suo temperamento da mediatore lungimirante, conduce l’imprenditore torinese alla soluzione di questi problemi, ricompensata con la nomina dal ’74 al ’76 di Presidente della Confindustria, in nome di una guida sicura e autorevole voluta anche dagli industriali stessi. Non sono solo anni di lotte e preoccupazioni, infatti già nel ’68 Agnelli tenta di trasportare l’industria Fiat anche in altri paesi del mondo (tra cui Yugoslavia, Turchia e Brasile) riuscendo, nell’arco di una decina d’anni, brillantemente nell’impresa.
Con la fine degli anni ’70 si avvicina una tempesta. La crisi economica e il calo della produttività che avanza su tutta l’Italia coinvolge anche la Fiat che, per fronteggiarla, effettua più di diecimila licenziamenti. È l’inizio di un terremoto sociale. I sindacati iniziano a combattere una lotta molto dura e tenace, da ricordare il blocco dei cancelli che durò ben 35 giorni. Nel 1980, però, il Partito Comunista di Berlinguer pone fine a questa guerra non dando più il sostegno ai sindacati. Il 14 ottobre di quell’anno, infatti, avvenne la “marcia dei quarantamila”: migliaia di impiegati e quadri della Fiat scesero in piazza per protestare contro le violente forme di picchettaggio che impedivano loro di entrare in fabbrica a lavorare. Fu un momento storico che determinò l’inizio della fine dell’invulnerabilità dei sindacati. Anche Agnelli, però, è costretto a un compromesso: rinunciare ai licenziamenti e mettere in cassa integrazione ventimila dipendenti.
L’azienda torinese parte più forte che mai. Grazie alla collaborazione del dirigente Cesare Romiti, Gianni riesce a trasformare la Fiat in una holding (cioè una società che possiede azioni o quote di altre società), con interessi non limitati solo al settore automobilistico (avendo tra l’altro assorbito, in quegli anni, anche la Ferrari e l’Alfa Romeo), ma che variano dall’editoria alle assicurazioni. È ufficiale ormai: Gianni Agnelli è l’uomo più potente della nazione. Si consolida sempre più come un altro re d’Italia. I suoi giudizi durante le interviste, spesso espressi con un pungente umorismo, iniziano ad avere un grande peso a livello sociale, politico, economico e sportivo.
Gli anni ’90 rappresentano un periodo infelice e buio per l’imprenditore torinese, se non per il fatto che nel 1991 il Presidente della Repubblica Francesco Cossiga lo nomina senatore a vita. Nel ’96 cede il testimone della presidenza della Fiat a Romiti: il ruolo di una vita. Dopo il ’99, quando Romiti rinuncia alla sua carica, la presidenza va al ventiduenne John Elkann, nipote di Gianni e voluto dal nonno stesso, in seguito alla morte di un altro nipote, Giovannino, che si spegne nel ’97 per via di una cancro. Brillante, capace e più grande di John, doveva essere Giovannino il futuro presidente della Fiat. In seguito un altro grave lutto colpisce la vita di Gianni, già provato dalla morte del nipote: il suicidio del quarantaseienne figlio Edoardo.
Gianni Agnelli muore il 24 gennaio 2003, dopo anni di lotta ad un carcinoma della prostata. Un anno prima, decide di fare un’altra opera la per la sua amata Torino. Per tutta la vita, la sua passione per l’arte l’aveva portato a collezionare opere di artisti di enorme livello, per questo nel 2002 istituisce una Fondazione avente come scopo la diffusione dell’arte, specie tra i giovani, inserendo le proprie collezioni. Già ha in mente il luogo: il Lingotto, il primo importante e storico stabilimento della Fiat. Qui, per opera dell’architetto Renzo Piano, che re-inventò per l’occasione l’edificio, ancora oggi risiedono le opere appartenute a Gianni Agnelli e a sua moglie, i quali non solo le hanno scelte personalmente ma ne hanno anche curato la distribuzione nelle varie sale e la collocazione alle pareti. Tra le opere, da citare, ci sono delle tele di Canaletto, capolavori di Matisse, Canova e Modigliani, un’opera di Balla e vari dipinti di Picasso, Manet e Renoir.
Questo è solo uno spicchio della vita di Gianni Agnelli: un uomo che è stato acclamato, odiato, contestato, apprezzato, riconosciuto, maledetto e tant’altro. Rimane, però, incontestabile un solo fatto: si apprezzi o non si apprezzi la sua figura, è stato e rimarrà una leggenda italiana.
Aggiunto da Francesco Fario il 24/01/2013.
http://www.wakeupnews.eu/gianni-agnelli-il-quinto-re-d%E2%80%99italia/