L’essere, sinceramente, mi interessa molto più che l’apparire. Conscio di essere controcorrente e impopolare. Un semplice concetto che è sempre stato uno dei punti cardine su cui ho costruito la mia vita. Il pensiero vola inevitabilmente ai sofisti. Questi si presentavano come educatori di professione, maestri che giravano la Grecia e il Mediterraneo offrendo il loro sapere a chiunque fosse in grado di pagarlo, come prostituti. Spregiudicati, ipocriti e capziosi come pochi. Oggi, un atteggiamento di tanti. Che ha sepolto il metodo socratico, il dibattito, la discussione, le polemiche. Nelle società arcaiche, ma non solo, l’educazione è lo strumento che serve per trasmettere da padre in figlio valori e credenze, secondo un meccanismo che si propone di riprodurre ordine e continuità. Temi che partono dalla filosofia e si fanno politica, arrivando all’etica e alla metafisica. E che ci interrogano oggi, in un mondo plasmato dalle pubbliche relazioni (un modo di affrontare la vita lontano anni luce dal mio essere), in una società dove le parole, le tante «belle» parole, sono sempre oggetto d’interpretazioni parallele, sia per i giudizi che per le opinioni, tutte mascherate e filtrate dalla becera ipocrisia del politicamente corretto, che interpreta e controlla la realtà. È la vittoria, postuma, dei sofisti, dei Protagora, dei Gorgia, degli Antifonte: queste logiche hanno preso il sopravvento in Occidente, in tutto il mondo. Da noi, peggio che altrove.
Noi dal 1943 abbiamo preso tutta la nostra storia, quella di Minghetti, Sella e La Marmora, la positività del Ventennio, insieme all’arte, alla cultura, all’architettura, e l’abbiamo messa in un sacco di juta con d’Annunzio, Marinetti, Papini, aggiungendoci il pensiero sullo Stato Assoluto di Gentile. Abbiamo legato il sacco per bene, con catene ferree d’ancora, e gettato tutto in fondo al Mare Nostrum. Le conseguenze? Sono davanti agli occhi di tutti, tutti i giorni. Oggi non sappiamo più riconoscere né vivere i valori del passato; come pensiamo di poter affrontare la contemporaneità? Senza le radici, l’albero poco alla volta appassisce, muore, e prima o poi cade. Chi ha saputo innestare e far attecchire nuove radici e interpretare al meglio i valori nella contemporaneità, in una nazione immensa qual è la Russia, è il presidente Vladimir Vladimirovič Putin. Ha ereditato una Nazione in preda all’anarchia e alle gang degli oligarchi, e l’ha saputa riportare al centro e al rispetto del mondo. Se vogliamo decifrare il suo percorso, dobbiamo imparare a leggere l’anima del popolo russo, di cui Putin sa interpretarne le vibrazioni, i capricci e i sogni di grandezza. Lo spirito e la storia. È stato scritto che lo zar, in Russia, è sempre stato un po’ khan e un po’ pontefice: crudele e paterno, guerriero e sacerdote, uomo che sa governare e giudicare, ma che sa anche consolare e provvedere alle necessità del suo popolo. C’è un passaggio chiave importante della storia russa, che rappresenta questo spirito. Nel giugno del 980 viene incoronato Gran principe di Kiev Vladimir I, che sino al 1015 governò quella che veniva chiamata Rus’. Prese coraggio e decise di far uscire il popolo dal paganesimo scegliendo una religione adeguata. Sì, ma quale? L’islam? Troppo triste e penalizzante il divieto di bere. L’ebraismo? Troppo timido e debole. Il cristianesimo occidentale? No, troppo cupo e intriso di sensi di colpa. Il cristianesimo bizantino, quello sì che andava bene! Una spiritualità profonda ma anche la meraviglia delle icone, le luci, corone e crocifissi d’oro. Tutti si convertirono. Da allora, da Vladimir I a Vladimir Putin, c’è sempre stato uno zar, un po’ khan e un po’ pontefice. È questa radice profonda quella che consente a Putin di incarnare il suo popolo; ne è sovrano e lo rappresenta.
Putin è, in poche parole, un capo: agisce con autorevolezza negli interessi dei russi. Si muove con determinazione, intelligence e amore per la propria Nazione. È l’unico statista occidentale che dimostra di voler salvaguardare la propria razza e la propria civiltà. Qualche esempio? Il mandato di cattura emesso nei confronti di George Soros, finanziere criminale e speculatore, o le adozioni di bambini russi concesse solo all’Italia, in quanto Paese «che ancora non riconosce i matrimoni omosessuali». Così come la presa di posizione in difesa della Siria, contro la grande coalizione che gli Usa stavano imbastendo, con la solita retorica del bene, contro Bashar al-Assad. E ancora, l’istituzione delle guardie cosacche affiancate alla polizia, la concessione alla Serbia di un credito di 800 milioni di dollari per la modernizzazione delle infrastrutture delle ferrovie statali, la gestione della crisi ucraina e il recente colossale contratto con la Cina per la vendita di gas per 30 anni, a partire dal 2018. Un mix completo di modernità e umanità. Quali altri capi di Stato possono dire di fare altrettanto per la propria Nazione? Pochi: di simili ricordo il presidente siriano Bashar al-Assad, Shinzo Abe, premier giapponese, e in parte la cancelliera tedesca Angela Merkel. Non a caso i destini dell’Europa dovrebbero essere reimpostati sull’asse Berlino-Mosca, in un’ottica che contrasti la sudditanza geopolitica, economica e culturale filoamericana. I tedeschi, che come sempre dimostrano di essere il vero motore dell’Europa, e la Russia, la luce dell’Est, come baluardo ideale. Altro che spostamenti di truppe al fronte. Vladimir Putin presidia la trincea dei valori: è questo quel che la retorica dei sofisti oggi teme. Perché la Russia ha saputo rimanere fedele ai valori che ormai l’Occidente ha perso. Per questo, il nuovo zar incute paura a chi vorrebbe fare il principe, ma non ha più princìpi.
Editoriale di Franz Botré da “Monsieur” n. 136 (luglio 2014)