Questi post sono pubblicati per gentile concessione di Gentleman Parisien e i testi originali sono disponibili all’indirizzo: http://parisiangentleman.it/academy/
LA “QUESTIONE” DEL LEMBO MINORE DELLA VOSTRA CRAVATTA
Hugo JACOMET9 MAI 2012
Gentlemen,
qualche settimana fa ho condiviso con voi un video interessante (potete trovarlo a questo link: Knot it like an Italian) che andava a sovvertire certe abitudini in materia di cravatta, in linea, peraltro, con quanto consigliato da Michael Drake in un altro articolo pubblicato nelle nostre colonne: “La lunghezza della vostra cravatta è importante. Nel migliori dei mondi possibili, l’estremità della vostra cravatta dovrebbe sfiorare l’alto della vostra cintura e le due estremità dovrebbero avere la stessa lunghezza. Se questo non è realizzabile, è decisamente meglio che il lembo più piccolo (“the tail”) sia leggermente più lungo del lembo più grande.”
Ho personalmente testato questo modo di portare la cravatta (facendo quindi in modo che il lembo più piccolo fosse più lungo di quello davanti) e devo ammettere che mi ha soddisfatto molto, anche se mi ha causato ogni tanto qualche sguardo stupito se non dei commenti tinti di incomprensione.
Ecco, per chiudere temporaneamente il dibattito, una foto del leggendario Gianni Agnelli che aveva fatto sua questa maniera un po’ “nonchalante” di portare la cravatta.
Qui a PG troviamo che questo piccolo dettaglio fa davvero la differenza… a patto che siate pronti ad assumerne la responsabilità.
Poiché l’eleganza è un cammino, non un punto di arrivo, ognuno di noi è tenuto a tentare esperienze nuove per progredire nella nostra ricerca perpetua dello stile personale. Questo esempio ne è un’eccellente dimostrazione.
Cheers, HUGO
Hugo JACOMET.
CIRCA LA NECESSITÀ DI DIFENDERE LA CRAVATTA (1)
Hugo JACOMET9 AVR 2012
Gentlemen,
oggi continuiamo la nostra esplorazione della miniera di suggerimenti contenuti nel libro “The Suit” pubblicando questo piccolo articolo (prima parte di una serie di tre) circa la necessità di difendere l’arte di portare la cravatta. A tale proposito vi consigliamo anche la lettura del capitolo 21 del pamphlet di Nicholas Antongiavanni (aka Michael Anton), dal quale alcuni passaggi di questa serie sono ispirati.
CIRCA L’ARDENTE NECESSITÀ DI DIFENDERE L’ARTE DI PORTARE LA CRAVATTA.
Il primo elemento che permette di giudicare lo stile di un uomo è la sua cravatta. In effetti questa è talmente rappresentativa del gusto (buono o cattivo) di chi la indossa, che si usa dire che la cravatta entra nella stanza prima del suo proprietario. Se i motivi della cravatta, i colori, la materia sono appropriati alla situazione e di buona qualità testimoniano immediatamente il buon gusto del proprietario, mentre se la cravatta è abbinata male all’abbigliamento, o, peggio, è inadatta alla situazione (e abbiamo continuamente testimonianza di autentici disastri sartoriali come persone che in occasioni formali indossano cravatte con motivi grotteschi, come personaggi dei cartoni animati, verdure varie o “logo” di marchi ostentati) diventa un vero e proprio marchio del cattivo gusto.
Prendiamo l’esempio di Bill Clinton, ex-presidente degli Stati Uniti, uomo del quale nessuno mise mai in discussione l’eleganza, nemmeno in mezzo alla tragicomica bufera sollevatasi in seguito alla tresca con la (mediocremente) attraente Monica Lewinski, dato che indossava sempre cravatte esemplari e sapeva padroneggiare alla perfezione l’arte di scegliere la cravatta in funzione della situazione e dell’occasione.
Per entrare nel cuore del soggetto, bisogna innanzitutto considerare che esistono complessivamente sei tipi di cravatte corrispondenti a sei livelli di formalismo: le cravatte “club”, le cravatte a righe, le cravatte a pois, le cravatte a motivi geometrici, le cravatte unite e, infine, tutte le altre. Le prime tre categoria sono meno formali delle due successive, mentre l’ultima è spesso quella che contiene i modelli più volgari.
Bill Clinton aveva capito quindi come comprare delle belle cravatte e quale cravatta comprare in funzione dell’occasione, e per questo, come detto prima, è rimasto impresso nella memoria di molti come un uomo elegante, nonostante i suoi completo fossero spesso di qualità mediocre.
Questo proprio perché la cravatta diventa l’asse portante attorno al quale ruota tutto il guardaroba maschile moderno. In effetti, anche se tutti gli abiti che indossiamo sono concepiti in modo da poter essere portati con o senza la cravatta, è la sua presenza o la sua assenza a costituire la prima regola di ogni codice di abbigliamento, scritto o no.
E se un giorno la cravatta sparisse completamente, temo che l’arte sartoriale non tarderebbe a seguirla nella tomba.
Questo perché la cravatta costituisce oggi l’ultimo elemento puramente estetico sopravvissuto alla purga operata da Brummell nel XIX secolo, che ha visto cadere sul campo la parrucche incipriate, le “culottes” di seta e i mantelli di broccato, ossia tutti gli elementi dello stile che non avevano alcuna reale utilità pratica in termini di calore, di protezione o comfort.
La cravatta nasce come affermazione di sprezzante superiorità rispetto alle categorie plebee dell’utile e del necessario: “io acquisto bellissimi tessuti in seta per il solo piacere di annodarli intorno al collo, senza preoccuparmi minimamente del fatto che possano essere rovinati, bruciati, strappati sul campo di battaglia, durante un duello o una partita di caccia.”
E se domani sparissero le cravatte, v’è da temere che in un (maledetto) giorno qualcuno possa mettere in discussione la camicia, obiettando che esistono sistemi molto più comodi e semplici di coprirsi il torso, e infine, abbandonare il completo in favore di giacche a vento, sicuramente efficaci e meno dispendiose.
Non è un’esagerazione: basta osservare come quotidianamente la nostra società evolva verso una becera trivialità, ossessionata com’è dall’idea dell’utile e da una spiccata avversione verso tutto ciò che è estetico, filosofico e in un certo senso trascendente…
E’ quindi fondamentale proteggere l’ultimo bastione dell’estetica maschile, la cravatta, oggetto il cui profondo fascino proviene dalla sua perfetta inutilità.
L’origine della cravatta è sconosciuta, nonostante esistano numerose teorie circa la sua genesi, alcune delle quali arrivano fino all’Antica Roma. La teoria più comunemente ammessa è quella che la cravatta discenda dai foulards portati dai soldati dei reparti di cavalleria croata nel XVII secolo e che la parola “cravatta” sia una corruzione di “crovatto” (ossia croato), giungendo poi alla forma attuale attraverso la mediazione di Brummell.
Nel prossimo articolo della serie parleremo delle regole fondamentali necessarie per scegliere le proprie cravatte in funzione del completo, della camicia ma anche, e soprattutto, delle situazioni e delle occasioni.
A presto, quindi…
Cheers, HUGO.
CIRCA LA NECESSITÀ DI DIFENDERE LA CRAVATTA (2)
Hugo JACOMET11 AVR 2012
Gentlemen,
saper scegliere una cravatta di qualità e soprattutto saperla abbinare con la camicia e la giacca è un’arte che, in quanto tale, richiede la conoscenza di alcune regole fondamentali circa questo oggetto all’apparenza “anodino”, ma nella realtà dei fatti abbastanza complesso e sofisticato.
Ecco dunque alcuni principi basi da comprendere e da padroneggiare quanto prima.
Le migliori cravatta sono interamente realizzate in seta. Fra tutti i tessuti nessuno possiede caratteristiche in termini di resistenza, brillantezza e flessibilità più adatti alla realizzazione di cravatte. Detto questo, esistono anche cravatte in lana e/o cachemire, che si sposano benissimo con tessuti invernali come flanelle e tweeds, e sul versante estivo cravatte in lino, misto lino/seta e “popeline irlandese” (misto seta e lana).
Cravatta in lana (Wool Challis) di Ralph Lauren
Nessun altro tessuto al di fuori di questi produrrà delle cravatte decenti.
Per quanto riguarda l’interno, la fodera in lana è un “must” che rende possibile non solo la realizzazione di bei nodi, ma permette anche alla cravatta di ritrovare rapidamente la forma originaria una volta sciolto il proprio “Four-in-hand” o “Windsor”.
Le buone cravatte sono realizzate a mano, e se parliamo di cravatta di alta categoria, questo punto non è assolutamente negoziabile: una cravatta così realizzata non è mai né rigida né inerte, ma, al contrario, sempre morbida e liscia.
Se, ciò nonostante, la cravatta non è realizzata integralmente a mano è fondamentale che almeno la piega della parte interna sia fermata, alla due estremità, da un punto cucito a mano, e così anche la cucitura della “colonna vertebrale” deve essere particolarmente fluida (tecnica chiamata “slip stitch”), in modo da lasciare alla cravatta quella libertà necessaria affinché possa ritrovare facilmente la sua forma. E’ abbastanza semplice al momento dell’acquisto riconoscere questo dettaglio: se sul retro le due parti della colonna vertebrale sono cucite in modo molto serrato, quella che avete di fronte è una cravatta di qualità mediocre realizzata a macchina. In compenso, se la cucitura vi sembra un po’ lassa significa che è stata fatta a mano e quindi la cravatta è realizzata secondo le regole tradizionali dell’arte sartoriale.
Il lato interno di ogni estremità (“tipping”) deve essere del medesimo materiale della cravatta stessa. Sulle cravatte di (molto) alta categoria queste non sono nemmeno ricoperte, dato che la cravatta è realizzata integralmente a partire di un “carré” di seta piegato sette volte, senza fodera, in modo che sia la seta stessa a fornire spessore all’oggetto.
La maggior parte delle cravatte era realizzata in questo modo nel passato, ma l’effetto congiunto dell’aumento del prezzo della seta e della progressiva sparizione degli artigiani padroneggianti questo savoir-faire ha fatto considerevolmente aumentare le tariffe di queste cravatte tradizionali.
Le cravatte di buona qualità ma più comuni sono quelle chiamate “quattro pieghe” (“double four foulds), dall’apparenza simile alle “sette” pieghe, con la differenza che utilizzano meno seta, che sono foderate e le estremità sono ricoperte.
Evidentemente, queste raffinatezze sono esclusivamente psicologiche, dato che solo colui che indossa la cravatta è in grado di notare queste differenze, e ancora, se prende la briga di voltare l’oggetto e di osservarlo con attenzione.
Per quanto riguarda la larghezza della cravatta, la moda ci spiega che questa cambia spesso, come se gli standards dell’eleganza siano soggetti a variazioni da un anno all’altro. Falso.
La larghezza di una cravatta inglese tradizionale è di 3 pollici e ¼ (8,2 cm) larghezza minima, secondo noi, di una cravatta classica. Noi italiani preferiamo cravatte più larghe, rischiando a volte di esagerare. Attenzione quindi che le nostre cravatte non superino i 4 pollici (10,2 cm), che è la larghezza massima.
Quando si tratta di scegliere quale cravatta portare con quale camicia o quale giacca, due cose devono essere prese immediatamente in considerazione: il colore e il livello di formalismo. Per quanto riguarda il colore, quello predominante nella cravatta dovrà riflettere un colore presente nella vostra camicia o nella vostra giacca, oppure essere complementare ai due, come una cravatta gialla portata con un blazer blu e una camicia blu e bianca.
Se la vostra cravatta presenta due o più colori di densità uguale, allora almeno uno di questo dovrà riflettere un colore presente nella vostra camicia o nella vostra giacca, e gli altri non dovranno aggredire i colori di queste. Se i colori della vostra cravatta sono tutti differenti da quelli della vostra camicia o della vostra giacca, TUTTI i colori della vostra cravatta dovranno essere complementari a quelli della camicia e della vostra giacca.
Le cravatta con tre o più colori danno la quintessenza del loro effetto unicamente se accompagnati da abiti dai toni particolarmente discreti. Le combinazioni di cravatte multicolori con camicie e giacche multicolori sono quasi sempre disastrose, allucinanti, volgarissime. Nonostante ciò v’è da dire che pochi eletti dotati di un’immensa esperienza sartoriale riescono a creare combinazioni multicolori interessantissime: ma dietro v’è la conoscenza perfetta delle armonie dei colori e degli abbinamenti.
Gli uomini con una certa esperienza possono anche provare a far variare i colori della cravatta in funzione dei cambi di stagioni: colori brillanti e vibranti in primavera e in estate, e tonalità più dolci e sobrie in autunno e in inverno.
Per quanto riguarda invece il livello di formalismo necessario, uno degli assiomi di partenza è che le cravatte scure sono più formali di quelle più chiare. E che qualunque sia il tipo le cravatte di seta sono sempre più formali di quelle fabbricate in lino, in lana o in cachemire.
Le cravatte in tricot con un fondo dritto sono le meno formali di tutte e si abbinano bene con i colli “button-down” e delle giacche sportive, o dei completi informali in tweed.
Le cravatte club, con dei piccoli disegni su fondo unito, sono le successive sulla scala del formalismo. Se le insegne sulla cravatta rappresentano un club specifico o una scuola della quale non avete mai fatto parte, non dovreste indossarla.
Qui sotto, le cravatte regolamentari dell’università di Liverpool, della Royal Air Force e dell’università di Cardiff.
Esistono anche cravatte club con immagini di animali, oggetti sportivi e di tutto di più. L’esempio più celebre è la cravatta “Adam Smith”, onnipresenti presso gli ideologi neo-conservatori.
Le cravatte a righe (o regimental) sono, in generale, abbastanza informali, ma tutto dipende dal modo con il quale sono portate e dal colore, perché possono anche raggiungere buoni livelli di formalismo.
Molto versatili, si sposano a meraviglia con le camicie a quadri, e dovrebbero far parte di ogni guardaroba maschile, dato che possiedono due qualità non trascurabili: quella di snellire i volti troppo larghi e di affilare quelli troppo dolci.
Nate in Inghilterra come simbolo di appartenenza a uno specifico reggimento militare, (da cui il nome di regimental) o a una particolare scuola, ne esistono ovviamente di fantasia, senza alcun collegamento con alcuna istituzione esistente.
Gli inglesi ritengono un oltraggio il fatto d’indossare una cravatta di un reggimento o di una scuola della quale non avete fatto parte, e li mette (secondo noi legittimamente) in collera, quindi vi sconsigliamo di indossare simili cravatte oltre-Manica.
Negli Stati Uniti, in compenso, nessuno bada minimamente a queste tradizioni, peraltro poco conosciute. Detto questo, la scelta migliore è portare le regimental cosiddette “italiane”, che non solo non hanno alcun legame con particolari scuole o unità militari, ma sono anche caratterizzata da una variazione nell’intensità delle righe, facendone variare la dimensione. Al contrario, le righe inglesi sono sempre uniformi e realizzate con del Reps di seta-
Tradizionalmente, le righe devono scendere da sinistra verso destra (dal punto di vista di colui che indossa la cravatta), ma alcune maisons come la statunitense Brook Brothers propone espressamente cravatte con motivo invertito, dunque da destra verso sinistra, per distinguersi dai britannici.
Francamente noi preferiamo la “moda” originale perché, essendo le tasche sul petto posizionate sempre a sinistra, creano una linea che si armonizza molto bene con la presenza del fazzoletto da taschino (che ogni uomo perbene dovrebbe ovviamente indossare).
To be continued…
Cheers, HUGO.
Hugo JACOMET.
CIRCA LA NECESSITÀ DI DIFENDERE LA CRAVATTA (3)
Hugo JACOMET12 AVR 2012
Gentlemen,
passiamo ora alle cravatte a pois, con le quali arriviamo alla vera e propria soglia fra cravatte formali e cravatte informali. Un buon metodo per comprendere empiricamente in cosa consista questa soglia è l’abbinamento con le camicie “button-down”, che risulta appunto molto difficile (se non quasi impossibile) per la stragrande maggioranza delle cravatte a pois. Tuttavia quelle che presentano pois più distanziati (almeno un pollice, ossia 2,5 cm) possono essere portate con simili capaci, a patto che il motivo non sia tessuto ma stampato. Tutte le altre invece richiedono rigorosamente camicie più formali.
Detto questo, si tratta di cravatte molto versatili, ed è cosa buona e giusta possederne un buon numero nel vostro guardaroba: alcune con colori più brillanti, altre più scure, stampate, tessute, con motivi molto ravvicinati (“minute dots”) o più distanziati. Ma siate coscienti del fatto che se volete portare cravatte con pois grandi quanto una moneta da un centesimo non potete esimervi da abbinarla con gli accessori giusti: un naso rosso da clown, scarpe extra-lunghe, un cappello con l’elica sopra e bottoni spara-acqua (e non aggiungo altro).
I motivi geometrici –quadrati, tartan, plaid, diamanti eccetera- sono intrinsecamente più formali, soprattutto se tessuti e non stampati.
Questi tipi di seta tessuti erano la specialità dei sarti ugonotti in Francia, che si installarono poi nella parrocchia inglese di Macclesfield (da cui il nome) dopo l’espulsione da parte di Luigi XIV a seguito della revocazione dell’Editto di Nantes.
Nelle varianti bianco/nera e argento sono chiamate dagli inglesi “cravatta da matrimonio” e vengono portate nelle occasioni festive più formali.
Le cravatte dello stesso tipo, ma con un distanziamento più largo fra i motivi (quindi un po’ meno formali) si chiamano invece Spitalsfield, dal nome del quartiere dell’East London dove furono tessute per molti anni.
Questi due tipi di cravatte che possiamo spesso ritrovare presso i Gentlemen più attenti al loro stile devono essere portate esclusivamente con dei completo e mai con camicie di tipo “button-down”.
Prossimo (e ultimo) articolo della serie a seguire: le cravatte tinta unita.
Cheers, HUGO
N.B.: tutte le cravatte nelle fotografie appartengono alla maison Drakes – London
CIRCA LA NECESSITÀ DI DIFENDERE LA CRAVATTA (4)
Cravatta in seta grenadine / Drakes
Gentlemen,
ecco l’ultima parte di questa serie consacrata oggi alle cravatte tinta unita che, tranne per quelle tricot, non dovrebbero essere portate con dei colli “button-down”. Le cravatte tinta unita sono così poco indossate al giorno d’oggi da essere sempre d’effetto.
Uno dei migliori ambasciatori della categoria era il celeberrimo Cary Grant che portava esclusivamente cravatte tinta unita e per di più solo con camicie bianche e completi monocromi, e nonostante ciò riusciva a non essere mai banale o monotono.
Se abbinata a una camicia bianca, la cravatta tinta unita è la più formale fra le cravatte, ma si abbina molto bene anche con le camicie a righe e a quadrati, che peraltro non possono essere abbinante se non con grossi rischi a cravatte multicolori.
Una delle cose da tenere a mente è che se la camicia o il completo presentano motivi abbastanza complessi, la cravatta tinta unita diventa un’ottima scelta.
Le sete dolci, come le cravatte satin (le preferite di Cary Grant) sono intrinsecamente formali, mente quelle con tessuti più particolari, come i twills, aggiungono carattere all’oggetto.
Cravatta satin / Turnbull & Asser
Tutti gli altri tipi di cravatte che propongono motivi irregolari e sgraziati non potranno fare altro che valorizzare la volgarità di chi le indossa. Queste cravatte “fantasia” sono però purtroppo molto polari oggi, e questo essenzialmente a causa della sempre minore diffusione della cultura sartoriale.
Altro errore comune, è quello di cercare l’altrui approvazione portando solo cravatte griffate (e ovviamente con il logo del marchio ben esposto): riuscirete forse a far notare la vostra agiatezza, ma sicuramente non verrete ricordati come uomini di classe e, anzi, vi rinchiuderete nel recinto dei “parvenu” senza grazia né stile. La questione fondamentale è che ancora una volta la partita si gioca sulla qualità dei tessuti, sul gusto nell’abbinare colori e motivi e non si risolve in una gara a cercare di assomigliare a quadri di Jackson Pollock viventi o a pubblicità di Times Square mobili …
E quando qualcuno osa dirmi che forse faccio di ogni erba un fascio e che non è vero che tutte le cravatte stampate sono volgari, rispondo così: o sono cravatte multicolori con motivi improbabili, oppure sono colorare con disegni discreti su sete pesanti inglesi di qualità. Nel primo caso queste cravatta sono SEMPRE volgari, nel secondo POSSONO a volte esserlo… ma poiché l’ultima categoria è rara e non semplice da trovare, è molto più facile non rischiare ed evitare la categoria.
La cravatta tinta unita resta quindi un must, e ovviamente un elegante come si deve non può esimersi dal possederne in quantità: satin per la sera, in twill e grenadine per il giorno. Con una decina di cravatte tinta unita in differenti tessuti sarete sicuri di non sbagliarvi mai.
Cheers, HUGO