Home / Aforismi di Gianni Agnelli

Aforismi di Gianni Agnelli

FRASI CELEBRI DI GIANNI AGNELLI

 

Oltre che per il suo stile, Gianni Agnelli viene ricordato per il suo impareggiabile sense of humor.

Le sue dichiarazioni e i commenti erano spesso lapidari e imprevedibili e colpivano l’interlocutore per l’ironia e per la loro profondità di giudizio.

Molte sue battute hanno fatto storia. Molti suo interventi pubblici sono ancora attuali.

 

Ecco, alcune delle sue frasi più celebri:

  • “Mi piace il vento perché non si può comprare” (Il signor Fiat, Rizzoli, 1976).
  • “Una cosa fatta bene può essere fatta meglio”.
  • “Ho conosciuto mariti fedeli che erano pessimi mariti. E ho conosciuto mariti infedeli che erano ottimi mariti. Le due cose non vanno necessariamente assieme” (a Judd Rose della Abc, settembre 1991).
  • “Mi sono simpatici gli ecologisti. Ma hanno programmi costosi. Non si può essere più verdi delle proprie tasche”.
  • “L’autista non guida mai. Guido sempre io, è un’abitudine. Una volta, quando si andava a cavallo, si diceva ‘c’è chi preferisce stare a cassetta e chi preferisce stare in carrozza’. Io preferisco stare a cassetta”.
  • “Ho sempre guidato volentieri e veloce. C’è un particolare momento, al mattino tra le quattro e le sei, in cui si tengono i fari dell’auto ancora accesi, mentre quelli che si sono appena svegliati non accendono le luci. Ad esempio i macellai con i loro camion, alla mattina, quando vanno al mercato. E io sono andato proprio a finire contro uno di questi”.
  • “Non amo molto i consuntivi; soprattutto non mi piace il passato se non per quel tanto che fissa la nostra identità. Io amo il futuro e mi piacciono i giovani. La mia vita è stata tutta una scommessa sul futuro”.
  • “Ci si innamora a vent’anni; dopo si innamorano soltanto le cameriere” (Archivio Corriere della Sera).
  • “Ognuno è playboy. Tutti ci provano, alcuni ci riescono, altri no”.

SULLA FIAT

  • “Nella costruzione di un gruppo come il nostro ci sono tre tempi: il tempo della forza, il tempo del privilegio, il tempo della vanità. Per me conta solo il primo. Voglio che gli altri due non esistano”
  • “La mia vita coincide per tre quarti con quella della Fiat. E il mio rapporto con la Fiat è per metà di memoria e per metà di vissuto”.
  • “Agisco tramite professionisti esperti, ma loro non prendono decisioni senza consultarmi” (all’Economist del 30 agosto 1985)
  • “Un padrone che non esige che un’impresa dia profitto è un pessimo padrone” (ad Arrigo Levi, in Intervista sul  capitalismo moderno, Laterza 1983).
  • “Ciò che va bene per la Fiat, va bene per l’Italia” (attribuita a Gianni Agnelli, è stata poi parzialmente smentita dallo stesso durante un’intervista di Gianni Minoli a Mixer, affermando: “Quello che è male per Torino è sempre male per l’Italia”).
  • “Con i profitti a zero, la crisi non si risolve ma si incancrenisce e può produrre il peggio. Noi abbiamo due sole prospettive: o uno scontro frontale per abbassare i salari o una serie di iniziative coraggiose e di rottura per eliminare i fenomeni più intollerabili di spreco e d’inefficienza. È inutile dire che questa è la nostra scelta”.
  • “Se mi avessero detto quando ero ragazzo che sarei diventato socio della General Motors, non ci avrei mai creduto”.
  • “Mio nonno aveva il 70 per cento delle azioni Fiat in portafoglio e le gestiva dando dividendi bassi. Anche perché li avrebbe distribuiti in massima parte a se stesso. Preferiva accantonare a riserva e con le riserve costruì la grande Mirafiori. Ma nessuno lo sapeva perché lui parlava poco. Insomma non era come me che all’assemblea racconto tutto”.
  • “Quando nel ’66, Valletta mi passò quella che lui chiamava la somma delle responsabilità mi ricordo che me lo disse con enorme serenità: ‘Oggi la Fiat è forte, è finanziariamente in ordine, copriamo più di due terzi del mercato italiano, c’è serenità e pace sociale, sono proprio lieto di consegnarle questa Fiat, in queste condizioni, dopo aver tanto lavorato vicino a suo nonno’ ”.
  • “La mia vita privata non conta niente. Quello che conta è essere al servizio della Fiat al momento giusto, come adesso”.

SULL’ARTE

  • “La passione per l’arte cresce con la maturità. Mio padre mi portava fin da bambino a visitare i musei perché riteneva che il bello educasse, che il gusto si affinasse dall’infanzia, e aveva ragione”.
  • “C’è il gusto estetico. Il solo piacere del vedere un’opera. Non una ricerca di possesso, ma il desiderio di ammirare un lavoro di creazione. Nella mia vita ho ricavato grande gioia dall’osservare e studiare queste opere. Spero adesso che tante altre persone vogliano condividere con me questo sentimento e questo desiderio. Mi piacerebbe che, accanto alle parole dei critici e degli studiosi, coloro che vedranno al Lingotto della mia città, Torino, le opere che ho donato alla nuova galleria, ricordassero questa parola chiave: la gioia di ammirare l’arte” (a Gianni Riotta, Catalogo Fondazione Gianni e Marella Agnelli, Torino  2002).
  • “Mi piacciono le cose belle e ben fatte. Ritengo addirittura che estetica ed etica si equivalgano. Le cose belle sono etiche, mentre le cose non etiche non sono belle: dall’evasione fiscale ai sotterfugi” (a Sally Bedell Smith, su Vanity Fair del luglio 1991).

 SULL’ITALIANITÀ

 

  • “L’Italia digerisce tutto, la sua forza sta nella mollezza degli apparati, nella pieghevolezza degli uomini politici, nelle capacità di adattamento degli italiani. È un materasso, il sistema italiano. Pasolini avrebbe detto una ricotta. O, se preferisce, flectar non frangar. E noi, torinesi, ci siamo sempre sentiti un po’ stranieri in patria proprio per questo: siamo una gente montanara. Torino ricorda le antiche città di guarnigione, i doveri stanno prima dei diritti, il cattolicesimo conserva venature gianseniste, l’aria è fredda e la gente si sveglia presto e va a letto presto, l’antifascismo è una cosa seria, il lavoro anche e anche il profitto” (a Eugenio Scalfari, «La cura Agnelli per l’Italia», su la Repubblica del 25 novembre 1982).
  • “Per essere italiani nel mondo dobbiamo essere europei in Italia” (La Stampa, 2004).
  • “C’è un contributo che do in modo indiretto e di cui non ho alcun merito: quando la gente, gli stranieri, vedono l’Italia, nel panorama dell’Italia vedono che ci sono, che ci sto, e che ci credo; questo fatto viene interpretato come il segno che a questo Paese si può dare fiducia, che quella italiana è una società a cui si può dare credito, se Agnelli e la Fiat e ciò che rappresentano vi hanno un posto sicuro.” (ad Arrigo Levi, Intervista sul capitalismo moderno, Laterza 1983).

SULLA  JUVENTUS

  • “Per me, la Juventus sentimentalmente vale moltissimo… Tra gli anni Cinquanta e Sessanta quando i flussi migratori al Nord erano cospicui, tanti meridionali hanno proprio scelto Torino per poter vedere in azione la Juventus. Per molti ammirarla dal vivo è sempre stato un sogno” (sull’Espresso del febbraio 1997)
  • [Su Michel Platini] “L’abbiamo comprato per un tozzo di pane e lui ci ha messo sopra il foie gras”.
  • “È abitudine della Juventus dire e credere che quando le cose vanno bene il merito è dei giocatori, quando vanno meno bene la responsabilità è della società”.
  • [Su Marcello Lippi] “Il più bel prodotto di Viareggio, dopo Stefania Sandrelli”.
  • “[…] Perché la Juventus, dopo già un secolo di storia, è diventata una leggenda. Una leggenda che è sorta in un liceo di Torino e che ha finito per conquistare nove, dieci milioni di tifosi in Italia e, certo, altrettanti all’estero con un nome, una maglia e dei colori conosciuti in tutto il mondo”.
  • “Se Baggio è Raffaello, Del Piero è Pinturicchio” (dichiarazione ai giornali, agosto 1995).
  • [Rispondendo a chi chiedeva: “Vinca la Juve o vinca il migliore?”] “Sono fortunato, spesso le due cose coincidono”.
  • “Buscetta ha detto di essere ossessivamente un tifoso della Juventus? Se lo incontrate ditegli che è la sola cosa di cui non potrà pentirsi”.
  • [Su Franco Zeffirelli] “È un grande regista. Ma quando parla di calcio non lo sto nemmeno a sentire”.
  • “La Juventus l’abbiamo sempre avuta. Questo non è un affare; è una passione; una passione soggettiva, che però è condivisa da molta gente”.
  • “Di stile Juventus parlano gli altri, non noi”.

SULLA FAMIGLIA

  • “Si può fare tutto, ma la famiglia non si può lasciare” (Dinastie, Enzo Biagi, 1998)
  • “Tutto quello che ho, l’ho ereditato. Ha fatto tutto mio nonno. Devo tutto al diritto di proprietà e al diritto di successione, io vi ho aggiunto il dovere della responsabilità”.
  • “Mio nonno certamente disse che bisogna togliersi tutto dalla testa prima di cominciare a lavorare seriamente. Lui mi richiamò in Fiat come vicepresidente accanto a lui. Avevo 23 anni e mezzo. Poi io andai di nuovo via, di nuovo a fare il soldato per un certo periodo, poi rientrai”.
  • “Il nonno, il senatore, mi aveva dato via libera, dicendomi che per qualche anno potevo divertirmi, uscire dal sistema, prima di diventare una persona seria. Mi ricongiunsi perciò con i miei amici del giro internazionale, a Saint Moritz, a New York, a Parigi e sulla Costa Azzurra. Ci si divertiva come pazzi ai party che duravano tutta la notte, sul mio yacht e nella nostra villa di Beaulieu. Naturalmente non mancavano le belle ragazze. Ma in quel periodo vi erano due categorie di uomini nel giro: quelli che parlavano di donne e quelli con cui le donne parlavano, molto intimamente. C’erano attrici, vere signore e altre che lo erano solo a metà” (a Peter Dragadze in Un jour avec Agnelli, 1976).
  • “Non chiamatemi senatore. Ogni volta che sento questa parola penso a mio nonno, che per me e la famiglia è tutto. Il senatore è lui. Il mio nome d’arte è avvocato Agnelli, ed è giusto così”.
  • “Mio padre aveva grandi qualità, era assai delicato. Ma io mi considero nipote di mio nonno; sono stato al suo fianco dai quattordici e vent’anni, durante il mio periodo di formazione. Le responsabilità sono passate direttamente da lui a me…” (a Enzo Biagi in Il signor Fiat, Rizzoli 1976).
  • “Mia sorella Suni è stata la mia vera amica, forse anche perché è la più vicina a me per età. Ed anche mia sorella Clara. Gli altri erano più piccoli, ma poi sono diventato molto amico anche di Umberto. Ci comprendiamo al volo, ancora prima di parlarci. È raro, sa, tra fratelli”.
  • “Sono sempre stato un marito devoto, ma se pretendessi di essere sempre stato un marito fedele direi una bugia” (Vanity Fair, luglio 1991).
  • “Marella? Viviamo insieme da una vita. A quel punto l’altra persona diventa una parte di te; come si fa a dirsi amici? È di più, molto di più, è un pezzo di te stesso» (a Eugenio Scalfari su la Repubblica del 2 marzo 1996).
  • “Non sono un grande pedagogo. Sono più incline a lasciare fare alle persone quello che vogliono. I miei nipoti li prendo, gli parlo, rido con loro e andiamo nei musei e al cinema insieme. So come si fa. Ma non sono un bravo educatore”.

SULLA POLITICA

  • “Io non ho nessuna passione per la politica e per i politici. Riconosco che è un’attività necessaria e anzi che, almeno in teoria, è la più nobile di tutte, quella che gestisce gli interessi della polis, della comunità. Ma non mi piace l’inevitabile parzialità dei partiti e l’altrettanto inevitabile egoismo di chi li guida. Infine: la Fiat ha un peso nell’economia e nella società italiana che non si può combinare con uno schieramento politico” (a Eugenio Scalfari su la Repubblica del 2 marzo 1996).
  • “La politica non mi tenta, è troppo tardi, ma ho partecipato a tutte le votazioni per l’elezione del Presidente perché è importante prendere sul serio il Parlamento”.
  • “Fino ad oggi il Partito comunista è stato visto con due prospettive: quella della speranza e quella della paura. Dopo l’episodio di oggi credo che la prospettiva della speranza sia cancellata”. [dopo il picchettaggio di Mirafiori: frecciata a Enrico Berlinguer]
  • “Come tutti i politici, anche Montezemolo è molto sensibile a quello che scrivono i giornali. Anzi: è più sensibile ai giornali che ai fatti. Sbaglia”.
  • “Nella mia vita ho avuto due cariche elettive pubbliche, quella di presidente di Confindustria in una situazione di emergenza e quella di sindaco di Villar Perosa, per 35 anni: un’esperienza utilissima per capire i problemi della gente, il costo dell’illuminazione della città, la vita del paese, il peso del parroco, il lavoro della maestra”.
  • [Sul fascismo] “Qualche cosa di naturale, come per tutti quelli della mia generazione. I capi mi erano antipatici perché rappresentavano il potere, a causa della stupidità dei loro proclami e della follia di una politica estera condotta con un’arroganza che non trovava riscontro nella forza” (a Enzo Biagi in Il signor Fiat, Rizzoli 1976).
  • “Nel dopoguerra in Giappone il generale MacArthur distrusse l’industria pubblica giapponese. In Italia purtroppo questo non è accaduto. Forse perché per noi la guerra è finita con una semi-sconfitta. L’Italia è il paese dove la mano pubblica conta di più, dove il sottogoverno pesa più del governo… Finché il potere politico continuerà a nominare i manager non si potrà parlare di privatizzazioni” (a Ferruccio De Bortoli sul  Corriere della Sera del 20 febbraio 1996).
  • “De Mita lo conosco da più tempo che Craxi. È un tipico intellettuale meridionale, di quelli che sembrano essersi formati nella Magna Grecia” (a Giovanni Minoli durante la trasmissione televisiva Mixer, 1 marzo 1984).
  • “Per la Monarchia. Ero un soldato che aveva giurato fedeltà. […] Per me la storia di casa Savoia è una storia finita con il referendum. Ma so anche che da un punto di vista nazionale ha avuto un merito grande, per il Piemonte e per l’Italia” (a Miriam Mafai, su la Repubblica del 31 maggio 1996).
  • “Non conobbi Roosevelt. Conobbi la vedova Roosevelt, una donna forte, e il figlio, che rappresentò la Fiat in America. Ho conosciuto tutti gli altri presidenti, in particolare Kennedy… un momento di grandi speranze prima e di profondo rimpianto poi… Reagan fu un grande presidente, ma più una guida che uno statista. Era un uomo pieno di simpatia, raccontava barzellette divertenti” (a Ennio Caretto, sul Corriere della Sera del 5 novembre 1996).

 

“Ah, il piacere non me lo sono certo fatto mancare. Sa qual è il vero piacere? Un atto creativo. Un piacere senza creatività è di una noia mortale”.